giovedì 5 aprile 2018

Pillole di insonnia: Diane Solway - Nureyev: his life.

Ogni volta che finisco una biografia mi sento orfana, defraudata e terribilmente sola, per cui pianterò qui uno spillo a memoria di queste vite straordinarie coperte dalla polvere degli anni e rivissute negli occhi degli avidi lettori insonni  (e insani) come me.
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Fra le pagine ingiallite di questo libro usato ho trovato ad un certo punto Diane Arbus, la fotografia e l'insondabile mistero delle relazioni umane.

Due uomini, opposti e complementari in ogni minimo aspetto - personale, umano, caratteriale, professionale - si sono rincorsi, uccisi, amati, feriti, respinti, consolati, invidiati, sfidati, riconciliati e specchiati l'uno nell'altro per 25 anni e oltre, anche dopo la morte dell'uno fino al decesso dell'altro. Una collisione e un'esplosione di pianeti distanti di ghiaccio e fuoco che, ne sono sicura, è da qualche parte a rincorrersi armata di coltelli e a sfiorarsi le mani. A provare alla sbarra i passi di una danza infinita, in bianco e nero, l'uno di fronte all'altro.



E qui arriva lei, Diane, che cattura l'essenziale. Quello che mi ha colpita al primo colpo in questa celebre fotografia del 1963, più che la perfezione formale, è proprio lo specchio. Invertito. Rivelatore. Beffardo. In questa foto il casto, freddo e contenuto Erik è sfrontato, rilassato, a spalle scoperte, quasi provocante. E Rudik, l'esuberante, caldo satiro tartaro che non mancava mai un colpo, di contro sembra una pudica, timida educanda.
Vittima? Carnefice? Chi?
Diane, ti amo e ti amerò sempre.







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