domenica 6 luglio 2025

Migrant Mother: di migrazioni e ingiustizie storiche.

Con Ali ho visitato la mostra di Dorothea Lange presso il Museo Diocesano di Milano. La mostra si sviluppa attraverso 140 di scatti ed è incentrata su due grossi nuclei di fotografie.
Il primo è quello in cui racconta delle drammatiche condizioni vissute dai lavoratori agricoli fra il 1931 e il 1939 nelle aree centrali del paese, colpito da siccità e dal fenomeno del Dust Bowl, le tempeste di sabbia raccontate anche da Steinbeck in Furore. Aderendo con il suo futuro marito al programma governativo Farm Security Administration, riuscirà a viaggiare e a raccontare le condizioni di vita estreme di questi lavoratori, lo sfruttamento, la segregazione razziale. Avrò visto centinaia di volte il suo scatto più famoso di questo periodo, Migrant Mother, ma è sempre un pugno nello stomaco, soprattutto calato all'interno di una mostra che racconta scatto dopo scatto la disperazione di questa gente.
L'altro importante nucleo di fotografie riguarda una brutta pagina della storia americana (l'ennesima), ovvero l'internamento dei cittadini americani di origine giapponese nei campi di prigionia in seguito all'entrata in guerra degli Stati Uniti con il bombardamento giapponese di Pearl Harbor, nel 1941.
Una crudeltà inaudita, figlia del razzismo nei confronti delle popolazioni asiatiche, poiché nè italiani nè tedeschi subirono lo stesso trattamento e l'avversione verso gli asiatici ha radici più antiche.
Si tratta di uomini, donne, anziani e bambini strappati alla loro vita e alle loro esistenze di cittadini americani a tutti gli effetti che verranno deportati nelle aree più interne, desertiche e inospitali del paese. Verranno risarciti per questa orribile ingiustizia solo decenni più tardi, con le scuse ufficiali del governo americano e una somma in denaro.
La Lange e il marito lavoravano comunque su incarico del governo ma a causa del forte dissenso di entrambi rispetto alla faccenda, di questi scatti verrano fortemente ostacolati, vagliati e intralciati e secretati dall'esercito e dopo una breve esposizione di una manciata di scatti nel 1972, vennero completamente dissequestrate solo nel 2006.

All'interno della mostra è visionabile il documentario della durata di circa un'ora "DOROTHEA LANGE, Catturare la luce", facilmente reperibile su RaiPlay.


Al secondo piano invece è visitabile la SONY WORLD PHOTOGRAPHY AWARDS 2025, vista anche lo scorso anno e sempre molto interessante.
Assolutamente trascurabile la formula mostra + aperitivo, quest'anno non ne vale assolutamente la pena.















mercoledì 14 maggio 2025

Un orto nel bosco, o l'arte di sgusciare i piselli

Ci sono gesti che sono catartici, che ti riportano ad una dimensione di benessere e felicità assoluta che è quella del ricordo. La mente abbellisce i ricordi, li rende paradisiaci.

Sgusciare i piselli. Guardando le foto d'archivio di Facebook ho scoperto che l'ho fatto anche lo scorso anno nell'orto di mio padre, ieri come oggi.
L'ho fatto per tutta l'infanzia, come dice mia figlia Alice sono una pro quando si tratta di sgusciare i piselli.
Ho il ricordo vivido di questo gesto nell'orto di mio nonno materno, un vero paradiso in mezzo al bosco. Ci si arrivava con una camminata sterrata che costeggiava un campo di granturco e lungo il percorso raccoglievamo le fragoline selvatiche che lui mi aveva insegnato a riconoscere fra quelle non buone.
Oggi non esiste più niente di questo pezzo d'infanzia felice: nè orto, nè campo, nè fragole.

Era un orto terrazzato che lui aveva abbellito con aiuole di fiori e staccionate e gradini di legno. In cima aveva costruito un capanno, sempre in legno, e aveva costruito un tavolo e alcune panchine, ricordo disegni alle pareti e una piccola biblioteca. Mio nonno era un uomo vigoroso, forte e sempre attivo e curioso di tutto, che amava riposarsi leggendo instancabilmente.

Penso che per me sia stato un imprinting di arte, natura e libri.
Me che sguscio piselli, me che leggo in silenzio accanto a lui all'ombra di un capanno nel bosco o in camera sua.



lunedì 5 maggio 2025

Rose is a rose is a rose is a rose. L'Alveare di Margaret O'Donnell, impressioni.

 L'alveare di Margaret O'Donnell.

"Dopo essere salito al potere accusando le donne di aver portato il paese alla catastrofe economica per aver occupato posizioni professionali destinate agli uomini, il dittatore Gorston getta le basi di una nuova società che si fonda su due pilastri: l'ossessione per la maternità e la disumanizzazione femminile."
Durante una delle mie scorribande in libreria a caccia di roba buona mi sono imbattuta in questo libro, a colpirmi il titolo e la copertina.
Poche righe lette di trama, quelle sopra, l'ho scaricato sul kobo e ho iniziato a leggerlo fino a quando non l'ho finito. Penso proprio che acquisterò la copia cartacea.
E' un libro scorrevole che si legge in una manciata di ore, che precede di cinque anni l'uscita de "Il Racconto dell'Ancella" di Margaret Atwood, con il quale condivide la tematica di fondo e in parte la trama. E' l'unico romanzo pubblicato da Margaret O'Donnell, attivista irlandese per i diritti civili ed è considerato uno dei capisaldi della narrativa distopica femminista.
Dal punto di vista della concretezza, il modo in cui si attua questa dittatura è lacunoso e carente, mi ha creato più di un interrogativo, ma penso che il punto di vista dell'autrice mirasse alle idee più che alla solidità di questo mondo possibile, e in questo senso il libro è solidissimo.
Non solo da un punto di vista femminile, ma quando si interroga sulle motivazioni che spingono persone apparentemente pacifiche, normali, e pensanti a rinunciare a qualunque capacità di raziocinio e sostenere l'instaurarsi di una dittatura con tutto quello che di terrificante ne è conseguenza. Sarah, la nostra protagonista si chiede come sia possibile che una democrazia vecchia di secoli possa diventare una dittatura. Me lo chiedo anch'io.
I regimi dittatoriali non nascono come funghi dal giorno alla notte, sono semi corrotti che si insinuano nella coscienza collettiva e che ad un certo punto germogliano dando vita a terribili storture e hanno sempre, SEMPRE, la motivazione di un "nemico" comune da combattere nel loro DNA. I semi bacati di questa epoca hanno una forma chiarissima, eppure sono diventati normalità e io ne sono costernata.
Nel caso di questo libro il "nemico" sono le donne, uno dei temi caldi di questo disgraziato periodo storico, ma secondo il mio modestissimo parere la forza del racconto è che sposta il punto di vista ad una visione molto più ampia. Non a caso, nella trama e nella causa, sarà un uomo ad essere di vitale importanza.
La salvezza, in questo libro come nella realtà storica legata alle tante dittature che si sono susseguite senza sosta, sta nella stilla di consapevolezza che ad un certo punto esplode, e nel fronte comune. I regimi hanno SEMPRE una data di scadenza che però passa attraverso il dolore, la repressione di ogni diritto, la ferocia, il sangue, la sofferenza. Pensateci, quando decidete di sostenere personaggi abominevoli che cercano di minare i diritti di qualche minoranza accampando scuse accattivanti, perchè quella minoranza potreste essere voi o chi amate.
Questo libro è del 1980, eppure suona tremendamente attuale. Felice di averlo letto.
ps: mi ha intrigata il parallelismo fra il meraviglioso giardino di rose di uno dei protagonisti con le donne vessate e ridotte in schiavitù. Un giardino che non ammette imperfezioni, pena la distruzione della rosa macchiata o semplicemente invecchiata. C'è tanto della società odierna in questo libro, proprio tanto.