L'alveare di Margaret O'Donnell.
"Dopo essere salito al potere accusando le donne di aver portato il paese alla catastrofe economica per aver occupato posizioni professionali destinate agli uomini, il dittatore Gorston getta le basi di una nuova società che si fonda su due pilastri: l'ossessione per la maternità e la disumanizzazione femminile."
Durante una delle mie scorribande in libreria a caccia di roba buona mi sono imbattuta in questo libro, a colpirmi il titolo e la copertina.
Poche righe lette di trama, quelle sopra, l'ho scaricato sul kobo e ho iniziato a leggerlo fino a quando non l'ho finito. Penso proprio che acquisterò la copia cartacea.
E' un libro scorrevole che si legge in una manciata di ore, che precede di cinque anni l'uscita de "Il Racconto dell'Ancella" di Margaret Atwood, con il quale condivide la tematica di fondo e in parte la trama. E' l'unico romanzo pubblicato da Margaret O'Donnell, attivista irlandese per i diritti civili ed è considerato uno dei capisaldi della narrativa distopica femminista.
Dal punto di vista della concretezza, il modo in cui si attua questa dittatura è lacunoso e carente, mi ha creato più di un interrogativo, ma penso che il punto di vista dell'autrice mirasse alle idee più che alla solidità di questo mondo possibile, e in questo senso il libro è solidissimo.
Non solo da un punto di vista femminile, ma quando si interroga sulle motivazioni che spingono persone apparentemente pacifiche, normali, e pensanti a rinunciare a qualunque capacità di raziocinio e sostenere l'instaurarsi di una dittatura con tutto quello che di terrificante ne è conseguenza. Sarah, la nostra protagonista si chiede come sia possibile che una democrazia vecchia di secoli possa diventare una dittatura. Me lo chiedo anch'io.
I regimi dittatoriali non nascono come funghi dal giorno alla notte, sono semi corrotti che si insinuano nella coscienza collettiva e che ad un certo punto germogliano dando vita a terribili storture e hanno sempre, SEMPRE, la motivazione di un "nemico" comune da combattere nel loro DNA. I semi bacati di questa epoca hanno una forma chiarissima, eppure sono diventati normalità e io ne sono costernata.
Nel caso di questo libro il "nemico" sono le donne, uno dei temi caldi di questo disgraziato periodo storico, ma secondo il mio modestissimo parere la forza del racconto è che sposta il punto di vista ad una visione molto più ampia. Non a caso, nella trama e nella causa, sarà un uomo ad essere di vitale importanza.
La salvezza, in questo libro come nella realtà storica legata alle tante dittature che si sono susseguite senza sosta, sta nella stilla di consapevolezza che ad un certo punto esplode, e nel fronte comune. I regimi hanno SEMPRE una data di scadenza che però passa attraverso il dolore, la repressione di ogni diritto, la ferocia, il sangue, la sofferenza. Pensateci, quando decidete di sostenere personaggi abominevoli che cercano di minare i diritti di qualche minoranza accampando scuse accattivanti, perchè quella minoranza potreste essere voi o chi amate.
Questo libro è del 1980, eppure suona tremendamente attuale. Felice di averlo letto.
ps: mi ha intrigata il parallelismo fra il meraviglioso giardino di rose di uno dei protagonisti con le donne vessate e ridotte in schiavitù. Un giardino che non ammette imperfezioni, pena la distruzione della rosa macchiata o semplicemente invecchiata. C'è tanto della società odierna in questo libro, proprio tanto.
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