Con Ali ho visitato la mostra di Dorothea Lange presso il Museo Diocesano di Milano. La mostra si sviluppa attraverso 140 di scatti ed è incentrata su due grossi nuclei di fotografie.
Il primo è quello in cui racconta delle drammatiche condizioni vissute dai lavoratori agricoli fra il 1931 e il 1939 nelle aree centrali del paese, colpito da siccità e dal fenomeno del Dust Bowl, le tempeste di sabbia raccontate anche da Steinbeck in Furore. Aderendo con il suo futuro marito al programma governativo Farm Security Administration, riuscirà a viaggiare e a raccontare le condizioni di vita estreme di questi lavoratori, lo sfruttamento, la segregazione razziale. Avrò visto centinaia di volte il suo scatto più famoso di questo periodo, Migrant Mother, ma è sempre un pugno nello stomaco, soprattutto calato all'interno di una mostra che racconta scatto dopo scatto la disperazione di questa gente.
L'altro importante nucleo di fotografie riguarda una brutta pagina della storia americana (l'ennesima), ovvero l'internamento dei cittadini americani di origine giapponese nei campi di prigionia in seguito all'entrata in guerra degli Stati Uniti con il bombardamento giapponese di Pearl Harbor, nel 1941.
Una crudeltà inaudita, figlia del razzismo nei confronti delle popolazioni asiatiche, poiché nè italiani nè tedeschi subirono lo stesso trattamento e l'avversione verso gli asiatici ha radici più antiche.
Si tratta di uomini, donne, anziani e bambini strappati alla loro vita e alle loro esistenze di cittadini americani a tutti gli effetti che verranno deportati nelle aree più interne, desertiche e inospitali del paese. Verranno risarciti per questa orribile ingiustizia solo decenni più tardi, con le scuse ufficiali del governo americano e una somma in denaro.
La Lange e il marito lavoravano comunque su incarico del governo ma a causa del forte dissenso di entrambi rispetto alla faccenda, di questi scatti verrano fortemente ostacolati, vagliati e intralciati e secretati dall'esercito e dopo una breve esposizione di una manciata di scatti nel 1972, vennero completamente dissequestrate solo nel 2006.
All'interno della mostra è visionabile il documentario della durata di circa un'ora "DOROTHEA LANGE, Catturare la luce", facilmente reperibile su RaiPlay.
Al secondo piano invece è visitabile la SONY WORLD PHOTOGRAPHY AWARDS 2025, vista anche lo scorso anno e sempre molto interessante.